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Criptovalute, mafia e terrorismo: gli allarmi sono eccessivi?

L’ultima relazione della Direzione Nazionale Antimafia, ha contribuito a rilanciare in Italia il dibattito sull’utilizzo improprio delle criptovalute da parte dell’economia criminale e delle organizzazioni terroristiche. Secondo la DNA, infatti, le divise virtuali, a partire dal Bitcoin, sarebbero utilizzate con grande frequenza dalle bande criminali al fine di ripulire capitali sporchi.
La relazione in questione, però, ha destato notevole perplessità in alcuni osservatori, in quanto sembra non tenere conto dei mutamenti intercorsi nel settore. Ad esempio affermando come BTC risulti la moneta più utilizzata per i pagamenti realizzati sul darknet, quando già nel 2016 Alphabay e Oasis, i principali mercati del deep web hanno aperto le porte a divise come Monero e Zcash, reputate migliori dal punto di vista della privacy e della non tracciabilità.

Gli allarmi lanciati nel 2015 da Europol e CIA  

L’allarme della DNA, del resto, non rappresenta una novità, se si pensa come già nel 2015 l’Europol provvedeva a mettere in guardia i governi sul fatto che il Bitcoin rappresentava il 40% degli scambi finanziari tra i gruppi criminali e terroristici di alto profilo. Il report che conteneva questo alert era poi stato praticamente confermato nello stesso anno dalla CIA, la quale aveva fatto notare come lo Stato Islamico avesse dal canto suo iniziato la raccolta di BTC al fine di poter sostenere con il massimo vigore possibile la gestione di Raqqa, la zona siriana che era stata proclamata sede del Califfato. Un aggiornamento tecnologico che aveva consentito alle milizie dell’Isis di godere di un ulteriore strumento da aggiungere alla tradizionale hawala, antico sistema fondato su lettere di credito nato in Medio Oriente nel corso del Medio Evo e ai più innovativi PayPal e Money Transfer.

Una questione più articolata di quanto sembri a prima vista

Gli allarmi di Europol e CIA, però, sembrano eccessivi ad alcuni analisti, A partire da quelli riuniti in RAND Corporation, un think tank statunitense che ha sede a Washington e lavora alle dipendenze del Dipartimento della Difesa statunitense, il quale ha recentemente affermato che le criptovalute non riuscirebbero a soddisfare appieno le necessità dei gruppi terroristici.
Una affermazione contenuta in un report dal titolo “Terrorist Use of Cryptocurrencies: Technical and Organizational Barriers and Future Threats”, in cui gli estensori hanno provveduto a spiegare che, almeno secondo loro, nonostante siano effettivamente usati dai gruppi terroristici che agiscono a livello globale, gli asset digitali non costituiscano al momento una vera e propria minaccia sotto tale punto di vista, in quanto non garantiscono in toto i necessari profili di anonimato e sicurezza delle transazioni. Un difetto cui va ad aggiungersi l’instabilità che continua a caratterizzarne le quotazioni, tale da spingere ancora queste organizzazioni verso il denaro tradizionale.
Se questa è la situazione al momento, gli stessi analisti di RAND Corporation ammettono che nel futuro la loro asserzione potrebbe essere smentita dal lavoro portato avanti dai gruppi di sviluppo delle varie divise virtuali per renderle sempre più performanti sotto l’aspetto della privacy. Un lavoro che potrebbe andare a tutto vantaggio delle organizzazioni criminali e terroristiche ove si combinasse con le lacune derivanti da un quadro normativo chiaro e adeguato.

Dario Marchetti

Sono laureato in Lettere e Filosofia alla Sapienza di Roma, con una tesi sul confine orientale d'Italia alla fine della Prima Guerra Mondiale. Ho collaborato con svariati siti su molte tematiche e guidato il gruppo di lavoro che ha pubblicato il CD-Rom ufficiale della S.S. Lazio "Storia di un amore" e "Storia fotografica della Magica Roma".

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