La recente risoluzione presa dal governo di Teheran, il quale ha deciso di sospendere la fornitura di energia elettrica per il mining, perlomeno in attesa di ridefinire le tariffe, sembra aver trovato una pronta risposta da parte dei miner. In base ad un tweet postato da un utente, infatti, il processo di estrazione dei Bitcoin sarebbe stato spostato all’interno delle moschee. A suggerire questa mossa sarebbe il fatto che le strutture religiose non sono tenute a pagare il consumo di energia, grazie ad una decisione del governo centrale iraniano.
Va sottolineato come in un Paese che è preda di oggettive difficoltà a causa dell’embargo statunitense, il mining di BTC si sta rivelando una valvola di sfogo di non poco conto. Secondo Mahsa Alimardani, una ricercatrice dell’Università di Oxford, in questo modo sarebbe possibile reperire una cifra nell’ordine dei 260mila dollari statunitensi all’anno.

I provvedimenti del governo

Quanto sta accadendo non è però passato inosservato agli occhi delle autorità. Sono infatti state segnalate negli ultimi giorni le identificazioni e il sequestro di due mining farm di questo genere, considerate evidentemente illegali, le quali consumavano in tal modo circa un megawatt a testa.
Ad affermarlo è stato durante un’intervista Arash Navab, al quale è affidato il compito di gestire la rete energetica nella provincia di Yazd. Un provvedimento il quale sembra del tutto in linea con la recente decisione di sospendere le forniture di energia per il mining, che secondo alcuni analisti sarebbe stata a sua volta provocata dall’aumento del 7% dei consumi elettrici nel Paese.

Cosa potrebbe succedere?

Le mosse del governo e la risposta dei miner vanno interpretate proprio alla luce della particolare situazione che sta vivendo il Paese mediorientale. L’embargo deciso da Donald Trump ha infatti costretto molti cittadini iraniani, impossibilitati ad accedere al sistema bancario internazionale, a cercare metodi alternativi per poter spostare i loro soldi fuori dai confini nazionali. Le divise digitali hanno inizialmente rappresentato un sistema perfetto, tanto che nel corso del 2018 circa 2,5 miliardi di dollari sarebbero stati portati fuori dall’Iran grazie ad esse, come rivelato dal presidente della commissione economica dell’Iran, Mohammad Reza Pour Ebrahimi.
Un sistema il quale è però stato messo in notevole difficoltà da LocalBitcoins, il sito che provvede a mettere in contatto venditori e compratori, il quale ha sospeso a maggio le operazioni che vedono coinvolti utenti iraniani. Secondo alcuni analisti le difficoltà potrebbero essere parzialmente aggirate tramite l’impiego di divise virtuali come Monero, le più efficaci dal punto di vista dell’anonimato, ma si tratterebbe di soluzioni limitate.
Proprio per questo tornano a farsi forti le voci secondo le quali anche il governo iraniano, come ha già fatto il Venezuela con il Petro, potrebbe presto decidere di mettere in campo una sua criptovaluta, con la quale cercare di reggere alla pressione degli Stati Uniti. Strumento che potrebbe peraltro rivelarsi utile per favorire i flussi turistici, i quali continuano ad essere molto intensi in entrata, proprio grazie alla svalutazione del rial, crollato del 60% dall’inizio della crisi con gli USA.

Dario Marchetti

Sono laureato in Lettere e Filosofia alla Sapienza di Roma, con una tesi sul confine orientale d'Italia alla fine della Prima Guerra Mondiale. Ho collaborato con svariati siti su molte tematiche e guidato il gruppo di lavoro che ha pubblicato il CD-Rom ufficiale della S.S. Lazio "Storia di un amore" e "Storia fotografica della Magica Roma".

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