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L’India tra cripto-rupia e Indian Crypthografic Act

Una notizia pubblicata dalla divisione indiana di Bloomberg ha sollevato notevole clamore nel mondo delle criptovalute. Il governo di Nuova Delhi, infatti, ha presentato un progetto di legge raccomandato da un gruppo di lavoro guidato dal Sottosegretario agli Affari economici, Subhash Chandra Garg, e composto da membri della Banca Centrale, della Securities and Exchange Commission of India, della Central Direct Taxation Authority e dell’agenzia investigativa, dai contorni abbastanza inquietanti. Con la sua approvazione, infatti, il Paese orientale sarebbe in pratica il primo al mondo a criminalizzare l’estrazione, la detenzione o la vendita di Bitcoin e altre divise virtuali.

Indian Cryptographic Act: cosa dice?

Il progetto in questione è l’Indian Cryptographic Act e propone una serie di sanzioni per tutti coloro che direttamente o indirettamente partecipano all’estrazione o alla generazione di cryptocurrency, ne detengano un quantitativo, le vendano, provvedano a trasferirle, le alienino, le emettano o le commercializzino criptovalute. Reati che sono considerati non certo di lieve entità, considerato che le pene detentive possono arrivare sino a 10 anni di carcere.
Un altro punto del provvedimento afferma poi che nel caso la violazione della legge fosse attuata da una persona giuridica, ad essere ritenuti responsabili dell’atto saranno il direttore, il membro del comitato di gestione, l’amministratore delegato, il dirigente e altri dirigenti senior.
Nel caso in cui l’Indian Crypthografic Act fosse approvato, i cittadini indiani avranno l’obbligo di dichiarare i propri asset digitali entro un termine di 90 giorni e smaltirli in modo conforme alle indicazioni del governo centrale. Nel caso contrario andrebbero incontro a notevoli problemi di carattere giudiziario.

Una vera e propria contraddizione

La notizia diffusa da Bloomberg era già stata anticipata nel mese di maggio da The Economic Times e non ha quindi sollevato eccessiva sorpresa negli ambienti interessati. Rimane però la netta sensazione di un atto in aperta contraddizione con  i propositi resi pubblici nel recente passato, ovvero la prossima adozione di una criptovaluta gestita proprio dalle autorità del Paese.
Se è vero, infatti, che The Hindu Business Line all’inizio dell’anno aveva affermato il mutamento di indirizzo in seno al governo indiano, citando una fonte interna secondo la quale l’idea di una cripto-rupia era stata abbandonata in quanto ritenuta prematura, e che la Banca centrale dell’India aveva precedentemente imposto un blocco bancario sullo scambio di criptovaluta, ancora non è trapelata alcuna indiscrezione tesa ad avvalorare un mutamento di opinione. Anzi, proprio l’articolo di Bloomberg afferma che il nuovo disegno di legge si incaricherebbe di dare il via allo sviluppo di una nuova criptovaluta nazionale, la quale verrebbe chiamata Rupia Digitale.

Alcune voci contrarie alla Rupia Digitale

Mentre il governo indiano conferma la sua vocazione autoritaria, va comunque segnalato che secondo alcuni analisti la creazione di una Rupia Digitale rappresenterebbe un notevole azzardo, in questo preciso momento.
Secondo Praveen Kumar, il fondatore di Belfrics, un exchange di criptovalute il quale concentra la sua presenza in Asia e Africa, il governo indiano dovrebbe avere l’accortezza di lasciare la sperimentazione di una moneta digitale a Paesi più piccoli, ma anche più avanzati da un punto di vista tecnologico come Singapore e gli Emirati Arabi Uniti, e di osservarne gli sviluppi prima di affrontare il varo in una cripto-rupia.
Kunal Nadwani, amministratore delegato di uTrade Solutions ed esperto in tema di Blockchain, aveva a sua volta affermato i timori legati al fatto che gli effetti economici della crittografia sono considerevoli e in gran parte sconosciuti, per cui sarebbe da preferire un approccio cauto alla tematica da parte delle istituzioni monetarie e politiche. Magari posticipando il progetto di una moneta criptata controllata dallo Stato.
A fronte dei loro pareri occorre però considerare il parere espresso dalla banca centrale del Paese in un rapporto di qualche mese fa, in cui l’RBI aveva indicato come la funzione principale di una CBDC sarebbe stata quella di facilitare i pagamenti all’interno dei confini nazionali. Inoltre un asset digitale di questo genere potrebbe rivelarsi estremamente utile al fine di porre un argine ai crescenti costi di gestione del denaro fisico e per ricavare maggiori poteri in tema di contrasto alle attività di riciclaggio dei capitali provenienti da attività illecite.
Infine va ricordato come già nel corso del 2018, fosse stato lanciato un white paper ad opera del gruppo di ricerca del RBI, l’Institute for Development & Research in Banking Technology, in cui la Blockchain era stata indicata alla stregua di una tecnologia sufficientemente matura e perciò in grado supportare in maniera efficiente una moneta digitale della banca centrale. All’epoca era stata anche avanzata l’ipotesi che questa moneta virtuale sarebbe stata dedicata alla dea indù della ricchezza e della prosperità, Lakshmi.
Proprio alla luce di queste premesse, però, l’Indian Crypthografic Act assume le sembianze di un provvedimento assolutamente abnorme e la cui prima conseguenza sarà quella di gettare nuove ombre sul grado di democrazia consentito all’interno del grande Paese asiatico.

Dario Marchetti

Sono laureato in Lettere e Filosofia alla Sapienza di Roma, con una tesi sul confine orientale d'Italia alla fine della Prima Guerra Mondiale. Ho collaborato con svariati siti su molte tematiche e guidato il gruppo di lavoro che ha pubblicato il CD-Rom ufficiale della S.S. Lazio "Storia di un amore" e "Storia fotografica della Magica Roma".

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