Bitcoin strumento ideale per il riciclaggio? E’ esattamente il contrario!

Bitcoin strumento ideale per il riciclaggio? E’ esattamente il contrario! - Bitcoin 6

Più di una volta, anche nel recente passato, Bitcoin è stato accusato di essere uno strumento ideale per il riciclaggio di capitali sporchi. Un giudizio durissimo in tal senso è arrivato da Davide Serra, il finanziere noto in qualità di fondatore di Algebris e per la sua amicizia con Matteo Renzi, il quale non ha esitato a bollare la criptovaluta attribuita a Satoshi Nakamoto alla stregua di una vera e propria lavanderia di soldi frutto di attività illecite.
La tesi di Serra è stata confutata dai fautori degli asset digitali, i quali hanno avuto buon gioco nel ricordare come proprio il meccanismo della Blockchain costituisca in definitiva una garanzia di legalità, andando a registrare ogni operazione e lasciando la possibilità a chi vuole di appurarne i dettagli. A rinforzo di questa tesi arriva però ora uno studio universitario che dovrebbe infine porre una pietra tombale sulla questione.

Lo studio dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli

Lo studio in questione è quello prodotto da un ricercatore dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, Gaspare Jucan Sicignano, esperto in diritto penale, il quale ha recentemente pubblicato un libro dal titolo eloquente: “Bitcoin e riciclaggio“. La sua pubblicazione va ad affrontare in particolare il tema relativo al modo in cui è possibile elevare sanzioni nel caso in cui una transazione veda l’acquisto di token mediante utilizzo di denaro di illecita provenienza.
Il suo lavoro, però, ha un ulteriore aspetto di interesse nell’ambito dell’ormai annosa disputa tra fautori e avversari del Bitcoin, in quanto secondo l’autore proprio la regina delle monete virtuali rappresenterebbe un vero e proprio deterrente alle operazioni di riciclaggio.

La tesi di Sicignano

Nella sua dissertazione Sicignano sembra sposare proprio la tesi dei fautori di BTC affermando come ogni transazione che veda l’impiego del token è pubblica, essendo registrata all’interno di un database distribuito accessibile a chiunque voglia consultarlo. In pratica tutti possono andare a controllare lo storico delle transazioni e appurare i particolari delle stesse.
La domanda che gli scettici potrebbero porsi, a questo punto, è naturalmente la seguente: le transazioni in BTC non avvengono garantendo l’anonimato? Se la risposta fosse positiva, la tesi di Sicignano non avrebbe alcun senso.

L’anonimato può essere bypassato

E’ proprio l’autore ad ammettere che transazioni sono anonime, ma questo non sarebbe che un falso problema. Il sistema, infatti, non esclude che l’utente anonimo possa infine essere identificato, utilizzando ad esempio tecniche di digital forensic, le quali permettono infine di risalire a chi si nasconda dietro un determinato indirizzo. Una volta che l’utente sia stato identificato, non resterebbe altro che seguire il celebre detto di Giovanni Falcone, “segui il denaro e troverai la mafia”, rendendo effettiva la tracciabilità delle risorse impiegate.
Inoltre, sempre a detta di Sicignano, anche l’anonimato sarebbe ormai poco meno che una leggenda metropolitana, in quanto le recenti normative antiriciclaggio impongono agli exchange l’espressa identificazione degli attori implicati in ogni transazione. Tanto da spingere il ricercatore ad affermare che proprio una nuova organizzazione dell’economia fondata su BTC renderebbe praticamente impossibile la vita alla corruzione.