Criptovalute, cosa c’è dietro la scelta di chiusura dell’India

Criptovalute, cosa c’è dietro la scelta di chiusura dell’India. Una direttiva che fa discutere e che potrebbe determinare vari effetti.

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Qualche giorno fa la Reserve Bank of India (RBI), la banca centrale del Paese, ha avviato un importante giro di vite sull’acquisto e sul trading di criptovalute come i bitcoin. Alla conferenza stampa bimestrale sulla politica monetaria, tenutasi lo scorso 5 aprile, il vice governatore della RBI, B.P. Kanungo, ha decretato che tutti gli organismi regolamentati dalla RBI “sono tenuti a cessare di avere rapporti commerciali con entità che trattano con valute virtuali, e svelare le relazioni esistenti entro un periodo di tre mesi”.

Insomma, entro luglio, banche e istituti finanziari indiani non saranno più in grado di negoziare o facilitare transazioni con società o individui che commerciano in criptovalute. Ma perché?

Il motivo dietro questa scelta

Nel suo discorso Kanungo ha brevemente delineato il ragionamento alla base della direttiva che blocca il commercio di criptovalute in India, sostenendo che le valute virtuali “possono seriamente minare il quadro normativo sull’antiriciclaggio e influire sull’integrità del mercato e sul controllo del capitale e, se crescono oltre una dimensione critica, possono altresì compromettere la stabilità finanziaria”.

Si tenga conto che non è certo la prima volta che la RBI ha indicato una posizione cautelativa sulle valute virtuali. Negli ultimi cinque anni ha emesso più volte diversi avvertimenti preliminari e, nel presentare il bilancio per il 2018 – a febbraio – il ministro delle finanze indiano Arun Jaitley ha dichiarato pubblicamente che il Paese non riconosce le criptovalute come moneta a corso legale.

Negli ultimi mesi, molte delle principali banche e emittenti di carte di credito in India, compresa la più grande banca privata del paese (HDFC), nonché diversi rami indiani di banche multinazionali come Citi, hanno vietato l’uso delle loro carte per l’acquisto di criptovalute.

In questo ambito, è facile notare come la mossa dell’RBI arriva proprio quando i governi di tutto il mondo stanno aumentando le restrizioni sulle valute virtuali. Il fatto che le criptovalute non siano totalmente regolamentate e l’incredibile aumento del valore di Bitcoin lo scorso anno, ha suscitato preoccupazioni globali sulla possibilità che queste valute possano essere utilizzate per facilitare ogni tipo di crimine, dal riciclaggio di denaro all’evasione, passando per il finanziamento al terrorismo.

E così, se non sorprende il fatto che diverse banche statunitensi hanno vietato l’uso delle loro carte per l’acquisto di valuta virtuale, lo fa un po’ meno il fatto che anche quello che un tempo era un importante centro per il trading di criptovalute, la Cina, si sta ora orientando verso una parziale repressione, e che anche Giappone e Corea del Sud hanno approntato una serie di regolamenti, ma più generosi.

È la fine delle criptovalute in India?

Fino all’emissione dell’ordinanza del RBI, gli indiani potevano scambiare valute virtuali in cambio di rupie senza violare la legge. Questa opportunità ha però fine con la scadenza di luglio, determinando un’ansia significativa per gli investitori di criptovalute nel Paese.

Cosa dovrebbero fare? Uscire dal segmento criptovalutario nella finestra trimestrale, o valutare come rimanere nel comparto, magari andando a detenere questi asset all’estero? In teoria, tutte queste opzioni comporterebbero limiti e complicazioni.

Naturalmente, rimane ora da vedere quali saranno i reali effetti della direttiva, ma è chiaro che i trader di criptovalute sono ovviamente delusi dalla decisione dell’RBI, e molti non sono disposti ad arrendersi senza “combattere”. Diversi exchange stanno ad esempio cercando di sfidare l’ordine della banca ricorrendo alla Corte Suprema. Molti trader si sono già organizzati diversamente, spostando le loro operazioni in Paesi più permissivi come Svizzera, Dubai o Singapore.

Difficile pensare a una chiusura definitiva

È comunque difficile pensare a una chiusura definitiva. Sebbene il diktat dell’RBI sia interpretato come un “divieto” sulle criptovalute, in realtà il vice governatore nel suo discorso ha anche incluso una valutazione positiva, sostenendo che “la tecnologia blockchain (…) ha potenziali benefici per l’inclusione finanziaria e per migliorare l’efficienza del sistema finanziario” e che tale tecnologia dovrebbe “essere sfruttata per il beneficio dell’economia”. Ha inoltre indicato che la RBI potrebbe persino creare una “moneta digitale” propria, e che un rapporto su questa prospettiva può essere rilasciato entro giugno.

Insomma, l’India vuole vietare gli scambi in criptovaluta, ma contemporaneamente si prepara a valutare l’idea di una propria valuta digitale. Sarà un caso?