Il governo iraniano ha legalizzato il mining di criptovalute

Dopo una serrata discussione, il governo di Teheran ha deciso di rendere legale il mining di criptovalute all’interno del Paese mediorientale. Una decisione molto attesa da coloro che sono impiegati in questo tipo di attività, sempre più popolare in Iran e la quale è stata interpretata dagli addetti ai lavori alla stregua di un primo e decisivo passo verso il varo di una divisa virtuale statale. Una decisione data da molti come ineluttabile, alla luce delle difficoltà sempre più notevoli che sono state frapposte all’economia iraniana dall’embargo deciso da Trump, le quali dovrebbero continuare a permanere ancora per un notevole arco temporale, alla luce del rifiuto con cui il Presidente degli Stati Uniti ha accolto le proposte provenienti da Teheran, con cui si chiedeva la fine dello stesso offrendo come contropartita maggiori controlli sul nucleare.

Cosa ha deciso il governo sul mining

Con le ultime risoluzioni adottate, il governo iraniano ha approvato il mining di criptovalute alla stregua di una attività di carattere industriale, come esse perciò tassabile, imponendo al contempo ai soggetti coinvolti l’obbligo di ottenere le necessarie licenze dal Ministero dell’industria, delle miniere e del commercio.

Tutti coloro che maneggiano divise digitali, inoltre, sono obbligati ad accollarsi in toto i rischi i quali possono derivarne, senza che le autorità istituzionali o il sistema bancario sia chiamato a fornire garanzie per loro. E’ poi vietato l’utilizzo di asset digitali per le transazioni che hanno luogo all’interno dei confini nazionali, mentre sono escluse dalla tassazione le operazioni tali da prevedere l’uscita di criptovaluta e il ritorno delle entrate derivanti in Iran.

La questione delle tariffe energetiche

Resta invece almeno per ora inevasa la questione relativa alle tariffe da applicare al mining, la quale aveva spinto le autorità locali a vietare l’attività prima che venissero stabiliti i nuovi prezzi da applicare all’energia elettrica utilizzata allo scopo.

A tal proposito va sottolineato come l’Iran rappresenti una location estremamente favorevole per i miners, proprio alla luce dei costi ancora molto contenuti dell’energia. Una caratteristica che negli ultimi tempi ha spinto i minatori di altri Paesi, a partire dai cinesi, a organizzare le loro farm in Iran. Ne è derivato logicamente il conseguente aumento della quantità di energia consumata, arrivata su livelli tali da destare una certa preoccupazione nelle autorità.

Secondo le voci trapelate il governo, nonostante le sollecitazioni provenienti, non ha ancora approvare il prezzo finale per gli stock energetici riservati al mining. Secondo gli ultimi rumors il governo dovrebbe infine optare per una tariffa di circa 7 centesimi per chilowattora, ovvero più del triplo rispetto al tasso attuale, attestato intorno ai 2 centesimi. In attesa che la decisione finale venga presa, è stato notato lo spostamento di molte attività del genere all’interno delle moschee, le quali sono esentate per legge dal pagamento dell’energia consumata. Una politica che ha però trovato l’opposizione governativa, sotto forma di sequestro delle attività coinvolte, come è accaduto di recente nella provincia di Yazd e che dovrebbe essere infine messa da parte in corrispondenza delle decisioni del governo centrale.