Ora anche Cuba studia la sua criptovaluta

Le criptovalute sembrano essere diventate una alternativa molto concreta per i Paesi messi in difficoltà dall’embargo degli Stati Uniti. Dopo il Venezuela, che ha varato il suo Petro proprio nell’ottica di bypassare i paletti imposti da Trump alla sua economia, e l’Iran che sembra ormai deciso a percorrere la stessa strada, ora è Cuba a guardare con notevole interesse alle divise virtuali. Una decisione del resto abbastanza logica alla luce di un blocco il quale dura dal 1962 e che comunque non è riuscito a fiaccare l’indole combattiva dell’isola caraibica, la quale si propone di continuare a rappresentare una vera spina nel fianco dell’impero a stelle e strisce. A patto di trovare nuove strade in grado di aggirare l’embargo.

Le dichiarazioni di Miguel Díaz-Canel e Alejandro Gil Fernandez

A pubblicizzare l’interesse dell’Avana per gli asset digitali è stato negli ultimi giorni il presidente Miguel Díaz-Canel, durante un dibattito pubblico rilanciato dalla televisione di Stato. Tra le dichiarazioni più interessanti da lui rilasciate, va ricordata anche quella in base al quale una mossa di questo genere oltre a consentire di dare respiro ad una economia messa in notevole difficoltà dal bloqueo, permetterebbe di aumentare il reddito di una cospicua parte della popolazione.  
A spiegare più nel dettaglio le conseguenze di un provvedimento di questa portata è stato il Ministro dell’Economia Alejandro Gil Fernandez, secondo il quale  le riforme rese possibili dalla raccolta di risorse attuata mediante la distribuzione di “token” digitali avrebbero come conseguenza una decentralizzazione delle attività e un accenno di liberalizzazione del sistema economico. Le misure previste in questo piano porterebbero in particolare ad un aumento dell’importo di pensioni e salari per i lavoratori di pubblica amministrazione, servizi sociali e media statali, innalzando lo stipendio medio mensile nei settori citati dai circa 25 dollari di oggi sino a 44,5.

Le difficoltà di Petro

Va anche ricordato come quello che viene considerato il riferimento cui il governo cubano potrebbe guardare, ovvero il Petro, sino a questo momento non abbia inanellato prestazioni memorabili. Pur garantito dalle risorse petrolifere e minerarie del Paese, anch’esso ha dovuto scontare il notevole scetticismo dei mercati e soprattutto l’ostilità dichiarata degli Stati Uniti, la quale potrebbe essere estesa anche a chi decidesse di appoggiare la mossa di Maduro.
Al contempo non è ancora chiaro se sarà la divisa digitale di Caracas il modello cui guardare o se invece a L’Avana vorranno provare strade alternative, come ad esempio lo sfruttamento di un sistema già esistente, ad esempio il Bitcoin o un altro token magari non caratterizzato da oscillazioni di prezzo come quelle consuete per la moneta virtuale attribuita a Satoshi Nakamoto. A sciogliere il nodo potrebbe essere il mondo accademico che il governo cubano ha chiamato a collaborare all’iniziativa. Nel frattempo hanno comunque iniziato a girare le voci secondo le quali la criptovaluta cubana potrebbe essere intitolata ad Ernesto “Che” Guevara, ipotesi la quale sembra fatta apposta per implementarne l’appeal, considerata la fama che ancora caratterizza la figura del grande rivoluzionario argentino in gran parte del mondo.  

Dario Marchetti

Sono laureato in Lettere e Filosofia alla Sapienza di Roma, con una tesi sul confine orientale d'Italia alla fine della Prima Guerra Mondiale. Ho collaborato con svariati siti su molte tematiche e guidato il gruppo di lavoro che ha pubblicato il CD-Rom ufficiale della S.S. Lazio "Storia di un amore" e "Storia fotografica della Magica Roma".

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