Prosegue la discussione su criptovalute ed economia criminale

Prosegue la discussione su criptovalute ed economia criminale - bitcoin riciclaggio

Le criptovalute sono oggetto di grande discussione ormai da tempo, con l’opinione pubblica divisa tra fautori delle monete digitali, che ne mettono in rilievo l’utilità per i pagamenti digitali e l’intento di democratizzazione della finanza, e detrattori, a loro volta focalizzati sulla questione del loro utilizzo nell’ambito dell’economia criminale. Si tratta di una accusa condivisa da molti rapporti elaborati da società operanti nel settore della cybersicurezza e da enti impegnati nell’opera di contrasto alla criminalità organizzata. Ma cosa c’è di vero?

Una leggenda metropolitana?

La prima vittima delle ricorrenti accuse di essere uno strumento per l’economia criminale è da sempre il Bitcoin. Per capire se le voci abbiano un fondamento è necessario partire dai dati reali, iniziando da un rapporto del 2018, “Bitcoin Laundering: an analysis of illicit flows into digital currency service”, stilato da Elliptic e Center on Sanction of Illicit Financing. Lo studio analizzava una serie di transazioni con impiego di BTC eseguite tra il 2013 e il 2016, proprio per individuare i flussi provenienti dal cosiddetto Dark Web, ovvero la parte nascosta di Internet su cui si svolgono i traffici illeciti. Secondo gli analisti, le transazioni sospette ammontavano in questo caso a circa l’1%. Gli stessi autori dello studio invitavano comunque alla prudenza affermando che il campione analizzato era quello relativo ad indirizzi noti, aggiungendo come il volume di transazioni illecite sia sicuramente più alto.
Per quanto riguarda il terrorismo è stato invece il Center for a New American Security ad allontanare le accuse dal Bitcoin. Lo ha fatto con uno studio, “Terrorist Use of Virtual Currencies”, pubblicato nel 2017, che indicava in Hawala (un sistema informale di trasferimento di valori utilizzato soprattutto in Medio Oriente, nel Corno d’Africa ed in Asia meridionale) lo strumento preferito dalle organizzazioni terroristiche.

Tutto chiaro? Non proprio

Sull’altro piatto della bilancia occorre però mettere un recente studio pubblicato da Europol, che indica in BTC il metodo di pagamento più utilizzato per pratiche illecite come la compravendita di sostanze stupefacenti, il riciclaggio di denaro sporco e la distribuzione di materiale pedopornografico. Le altre monete utilizzate nei meandri della parte oscura di Internet sarebbero Monero e Dash. In particolare la prima offrirebbe ai malintenzionati una maggiore sicurezza di farla franca, grazie al protocollo CryptoNight, che assicurerebbe un ulteriore livello di protezione della privacy nelle transazioni effettuate. Il documento, “Organised Crime Threat Assessment 2019”, ricorda in particolare come BTC sia assoluto protagonista del ransomware, ovvero la pratica consistente nel chiedere agli internauti un riscatto in cambio della rimozione del codice maligno con cui è stato in precedenza bloccato l’accesso ai dati contenuti nei dispositivi infettati.

Un argomento non trascurabile a discolpa delle criptovalute

La verità è che le monete virtuali possono diventare uno strumento per l’economia criminale al pari delle valute tradizionali. Per capirlo meglio basterebbe citare altri due rapporti, quello redatto dal White House Office of National Drug Control Policy degli Stati Uniti, che stima in circa 100 miliardi di dollari la cifra complessiva spesa ogni anno dagli utilizzatori di droghe del Paese e quello pubblicato dal Global Drug Survey del 2017, ove si stabilisce nel 10,1% il totale di tossicomani che utilizza Bitcoin o altre divise virtuali. Tutto gli altri, quindi, ripiegano su strumenti finanziari tradizionali, senza che nessuno si sogni di indicarli come una lavanderia di capitali sporchi o un mezzo dell’economia criminale. Perché questa accusa viene invece mossa alle criptovalute?