Il governo del Kirghizistan blocca la fornitura elettrica a 45 mining farm

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Il tema dell’impiego di energia necessario per il mining è sempre più all’ordine del giorno. Una discussione dovuta in particolare alle implicazioni ambientali che questa attività può comportare, tali da destare notevole preoccupazione nell’opinione pubblica mondiale, soprattutto in cui momento in cui il surriscaldamento globale torna a far capolino per effetto della campagna promossa da Greta Thunberg.
Dopo la decisione presa dal governo iraniano di sospendere le forniture di energia elettrica necessaria per l’attività di calcolo da cui traggono origine le monete digitali, ora è il turno del Kirghizistan ad adottare un analogo provvedimento, nei confronti di 45 mining farm. Le 45 società operanti nelle attività di calcolo necessarie per l’estrazione di criptovalute che si sono viste sospendere la fornitura,  consumavano infatti più energia di quella necessaria ai consumi elettrici di tre delle regioni locali che compongono il Paese.
Alla base del provvedimento, almeno stando a quanto riportato dall’agenzia di stampa locale AKIpress il 20 settembre, ci sarebbe la mancanza di un quadro legislativo definito in Kirghizistan. Almeno questo è stato il tenore delle dichiarazioni rilasciate da Aitmamat Nazarov, il numero uno della National Energy Holding. Una lacuna che ha dato il destro alle autorità locali per bloccare l’attività delle mining farm.

La ratio del provvedimento

Ammonterebbero a 136 i MW di elettricità usata dalle aziende di mining incriminate. Per capire meglio il dato basterà ricordare che esso va a superare il dato messo insieme dalle regioni di Issyk-Kul, Talas e Naryn. Considerato come il consumo di elettricità da parte delle società locali che si dedicano alla crittografia non rientra nel piano di distribuzione dell’energia del Kirghizistan, il governo ha infine deciso di sospendere le forniture, ritenendo assolutamente non strategica la produzione di criptovalute per l’economia del Paese.

La convenienza dei prezzi dell’energia in Kirghizistan

L’elevato numero di mining farm presenti all’interno del Kirghizistan, si spiega con il fatto che in questo Paese i costi dell’energia sono molto bassi, soprattutto se rapportato a quelli che sono in vigore nell’Unione Europea. Proprio per questo nel corso degli ultimi mesi sono state molte le aziende operanti nel settore a decidere di impiantare propri siti in Kirghizistan, al fine di minare le criptovalute ottimizzando i costi di estrazione dei blocchi.
Di fronte all’arrivo di queste aziende, alla fine del mese di agosto, il Ministero dell’Economia del Kirghizistan ha dunque varato un disegno di legge che ha come obiettivo quello di allargare al mining il proprio sistema fiscale, aumentando in tal modo le entrate di bilancio.

Il bando alle monete virtuali

Una decisione, quella presa dalle autorità locali, la quale va a fare il paio con il bando alle monete virtuali, risalente ormai al 2014. Bando che aveva fatto seguito all’avviso rilasciato dalla Banca nazionale della Repubblica kirghisa contro Bitcoin e le altre criptovalute normalmente utilizzate come metodo di pagamento, rendendole di conseguenza illegali ai sensi della legge vigente nel Paese. Una decisione sulla quale il governo non ha mai fatto marcia indietro, nonostante il largo favore che gli asset digitali stanno guadagnando in svariate parti del globo.